La storia di Luigi Preiti, rovinato dal vizio del gioco, ha riacceso il dibattito sull’opportunità di mettere fuori legge le sale del videopoker, dove una folla di persone senza nome si gioca tutto fino agli ultimi spiccioli. La ludopatia è una forma di dipendenza, in cui si perde inesorabilmente continuando a credere che l’appuntamento con la fortuna sia solo rimandato. La vittoria ci bacerà al prossimo giro di carte, al prossimo gettone inserito nella macchinetta mangiasoldi. C’è un altro aspetto del gioco d’azzardo che è meno noto e di cui ho scritto qualche mese fa a partire da un lavoro pubblicato su Science. Riguarda la psicologia della scarsità, ovvero quei tranelli cognitivi che spingono chi è in stato di necessità ad assumere comportamenti sbagliati, peggiorando fatalmente le proprie condizioni. Riproponendo il mio articolo non voglio certo giustificare chi getta via la propria vita e quella della propria famiglia a suon di scommesse. Tanto meno chi spara per uccidere. La mia intenzione è provare a spiegare alcuni dei perversi meccanismi psicologici che possono condannare i poveri a restare per sempre tali. Continua a leggere “Il gioco d’azzardo e la trappola della povertà”
La materia è (un po’ meno) oscura
I fisici sono abbastanza speranzosi da aver anticipato la quasi-forse-scoperta al meeting dell’American Physical Society. Non sono ancora abbastanza sicuri da fare annunci ufficiali. “Per il mistero della materia oscura si avvicina il momento della verità”, titola oggi Science. La novità consiste in 3 eventi, registrati dal Cryogenic Dark Matter Search: sono le particelle di quella materia oscura che tiene insieme le galassie? Insomma, sono quegli oggetti misteriosi che i cosmologi chiamano Wimps? Continua a leggere “La materia è (un po’ meno) oscura”
Parla Kamitani, l’uomo che legge i sogni
“Indossavo un vestito rosso, ero bellissima”. “Ero scalzo in mezzo alla strada”. “Scappavo”. Talvolta i sogni sono realistici, più spesso surreali. Le note emotive dominanti sono disagio e paura, anche se non mancano le esperienze piacevoli. In genere si dissolvono poco dopo il risveglio. Quando riusciamo a trattenerli, il piccolo Freud che è nascosto in ognuno di noi si interroga sui messaggi in codice inviati dalla psiche. La scienza moderna, però, si pone una domanda diversa, universale anziché personale. Perché mentre il corpo riposa, il cervello tesse ogni notte le sue trame virtuali? A cosa serve sognare? “Non abbiamo ancora risposte solide, ma disponiamo di nuovi mezzi per verificare le ipotesi”, mi dice il giapponese Yuki Kamitani, un cacciatore hitech di sogni, armato con gli strumenti delle neuroscienze computazionali . Il suo ultimo lavoro è appena stato pubblicato su Science, che ha diffuso online la ricostruzione-video di due sogni. Continua a leggere “Parla Kamitani, l’uomo che legge i sogni”
Fukushima, la contesa della memoria
Per il resto del mondo è “semplicemente” l’anniversario di Fukushima. Ma per il Giappone l’11 marzo è anche il giorno della devastazione di Rikuzentakata e di altri centri che in Occidente non abbiamo mai imparato a nominare. Lo tsunami del 2011 ha spazzato via 1.300 chilometri di costa, oltre a danneggiare i reattori di Daiichi innescando l’incidente nucleare. Ha ucciso diciannovemila persone: vittime non delle radiazioni ma del maremoto. Se sono rimaste in ombra è per la nostra paura nucleare, i sospetti di un cover-up governativo, l’attenzione doverosamente dedicata alle gesta eroiche di chi rischiava la vita per spegnere l’impianto.
Molti probabilmente ricordano la nave da 330 tonnellate scaraventata nell’entroterra come il giocattolo di un bambino. Per un cortocircuito emotivo quelle immagini di furia naturale sono diventate il simbolo della pericolosità dell’atomo e dell’hubris degli umani. A due anni di distanza, forse, è passato abbastanza tempo per provare a mettere un po’ in ordine dati ed emozioni. Continua a leggere “Fukushima, la contesa della memoria”
Stati Disuniti d’Europa
L’Unione europea non ha una politica estera comune, non ha nemmeno una politica economica, ma l’integrazione ha funzionato almeno per la ricerca scientifica? La risposta è no, come illustra questa mappa elaborata da ricercatori italiani (A. Chessa et al., Science, Vol. 339, pp. 650-651, 8 feb 2013). Nonostante il lancio dell’European Research Area a Lisbona nel 2000, i Programmi Quadro e altre iniziative varate per promuovere la collaborazione e l’eccellenza scientifica nell’Unione, l’analisi della co-presenza degli stati Ue nelle domande di brevetto e nelle pubblicazioni scientifiche è deludente. Le reti di collaborazione ricalcano i confini nazionali con due sole eccezioni: il Benelux e la comunità nordica (rispettivamente in viola e color senape). Sebbene Bruxelles abbia investito notevoli risorse per l’integrazione della ricerca comunitaria, nell’ultimo decennio i rapporti scientifici tra stati membri non sono aumentati più dei rapporti tra gli altri paesi Oecd. (NB Il bianco indica assenza di legami nell’anno di riferimento).
Presto che è tardi
L’impasse in cui si trova la generazione dei trenta-quarantenni in Italia mi ha fatto tornare in mente, per contrapposizione, un lavoro pubblicato su Science nel 2011. Analizzando le biografie delle persone più famose del mondo nate tra il 1800 e il 1950, da Virginia Woolf a Steven Spielberg, i ricercatori hanno scoperto che l’età in cui hanno agguantato il successo si è andata spostando all’indietro. Per le coorti comprese tra l’inizio del XIX secolo e la metà del XX l’età media in cui i grandi personaggi sono diventati tali è passata da 43 anni a 29. Ovviamente gli attori tendono a diventare noti prima degli scrittori, e questi prima dei politici. La tendenza comunque è quella: se ha intenzione di presentarsi alla tua porta, ormai il successo tende a suonare per tempo.
Mi è tornato in mente anche un grafico dell’Economist sull’età dei leader. In Occidente l’età della popolazione invecchia, mentre quella dei politici ringiovanisce. L’affermazione di under 50 come Obama e Cameron autorizza a immaginare che in futuro molti paesi potranno avere leader più giovani della media dei propri cittadini. Per ora noi facciamo eccezione, si sa. Chi tenta l’affondo a 40 anni oggi in Italia è un giovane turco. In America li chiamano “late bloomer”, come le piante a fioritura tardiva.
… è un dente di riccio di mare. Foto vincitrice al 2012 International Science & Engineering Visualization Challenge (Pupa U. P. A. Gilbert and Christopher E. Killian; University of Wisconsin, Madison). Rappresenta dei cristalli biominerali visti al microscopio elettronico a scansione.
Piccoli imperatori pessimisti
Il 15 gennaio sul Corriere della sera è uscito un mio commento sui trentenni cinesi della generazione dei figli unici (pag 34). La loro personalità e il loro comportamento in alcuni classici test di economia sperimentale (Dictator Game, Trust Game, Risk Game, Competition Game) sono al centro di un lavoro pubblicato sull’ultimo numero di ”Science”. Ne emerge la fotografia di una generazione poco combattiva, fatta di piccoli imperatori solitari e pessimisti. Per contestualizzare questi dati, in preparazione del mio articolo, ho intervistato una delle autrici. Xin Meng si è laureata in Cina e ora insegna economia all’Australian National University. Ecco cosa mi ha detto. (PS la copertina è di un bel libro di Susan Greenhalgh sull’intreccio fra cattiva scienza e cattiva politica che ha portato la Cina a varare la sua politica demografica)
A.M. Siamo abituati a pensare che gli studenti asiatici, quelli cinesi in particolare, abbiano una marcia in più rispetto ai coetanei occidentali perché molto motivati,
disciplinati, disposti ai sacrifici. I dati appena pubblicati dal suo gruppo su
“Science” contraddicono questo stereotipo?
XIN MENG Non è così semplice. Continua a leggere “Piccoli imperatori pessimisti”